Vino e Jazz


“Il vino crea allegria, proprio come il buon jazz”, si presenta così Paolo Damiani: compositore, direttore d’orchestra e direttore artistico, insieme ad Armand Meignan, del Festival “Una Striscia di Terra Feconda”


 

La sua carriera da musicista era scritta da prima del suo debutto, Paolo Damiani infatti si è laureato inizialmente in Architettura, ma con una tesi che lasciava pochi dubbi: Nuovi spazi per la Musica. E quei nuovi spazi, oltre a pensarli, è andato a prenderseli da protagonista completando il suo curriculum, dopo essersi laureato anche in composizione jazz e contrabbasso classico, con i ruoli di compositore, direttore d’orchestra, contrabbassista, violoncellista e direttore artistico. Senza farsi mancare l’insegnamento, infatti fino al 2018 ha diretto il Dipartimento di jazz presso il Conservatorio romano di Santa Cecilia, oltre ad essere docente di ruolo dal 1991 con esperienze anche a Milano e L’Aquila. Molteplici le sue iniziative, dalla fondazione della Scuola di Musica di Testaccio alla collaborazione con l’ISMEZ (Istituto Nazionale per lo Sviluppo Musicale nel Mezzogiorno) e l’invenzione della l’IS Ensemble, un’orchestra nazionale giovanile.

Altrettanto estesa la produzione artistica, con il Premio alla Carriera conferito a gennaio 2020 dal mensile Musica Jazz alla direzione della ONJGT (Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti), fino ai primi incarichi come quello di direttore artistico e musicale dell’ONJ (Orchestra Nazionale Francese di Jazz (primo e unico artista straniero ad aver vinto il relativo concorso). Diversi i festival ai quali ha collaborato, dalla fondazione alla direzione, ultimo a livello temporale “Una striscia di terra feconda” realizzato fin dal 1998 insieme ad Armand Meignan. Non sono mancati gli incarichi istituzionali, come la presidenza della AMJ (Associazione Nazionale Musicisti Jazz) e il ruolo nel consiglio direttivo dell’Associazione MIDJ (Musicisti Italiani Di Jazz) e di I-Jazz, consorzio comprendente oltre 50 festival jazz di qualità.

Numerose anche le collaborazioni prestigiose con musicisti di tutto il mondo, da Pat Metheny a Kenny Wheeler, da Cecil Taylor a Marc Ducret, senza dimenticare gli italiani Enrico Rava, Giancarlo Schiaffini, Paolo Fresu, Stefano Bollani, Francesco Bearzatti, Pino Minafra e Giorgio Gaslini (con il quale ha debuttato professionalmente nel 1976). Un curriculum difficile da sintetizzare, mancano ancora discografia e onorificenze (per chi volesse lo trova qui) ma utile già così a farci capire che, per raccontarci il jazz, difficilmente avremmo potuto scegliere qualcuno più preparato.

Ci fa piacere inoltre raccontarvi come il festival romano “Una striscia di Terra Feconda” ha confermato tutte le date previste già prima dell’emergenza sanitaria, e che Cincinnato avrà un ruolo speciale in questa edizione, come ci spiega proprio Paolo nell’intervista che ci ha rilasciato.

 

 

Paolo, cominciamo a conoscerci e a conoscere la musica con una domanda forse già ascoltata ma necessaria per introdurre la questione: secondo te il Jazz è da considerare più un genere musicale (come Pop, Rock ecc.) o una forma di espressione diversa? Un po’ come la Lirica o la musica classica per capirci….

Per me il jazz non è un genere, lo considero una forma di vita in continua evoluzione, un’attività governata da regole mutevoli, in funzione dello spazio, dell’acustica, di come il pubblico risponde, dei musicisti con cui si suona…. Il jazz è libertà. Come dicono in Francia, è la più popolare delle musiche colte e la più colta delle musiche popolari”.


 

Ecco, musica colta… Per molti il jazz è un movimento di non facile comprensione, è davvero così? E soprattutto c’è un modo per approcciarsi “bene” al jazz?

Esistono mille possibili jazz, da Armstrong a Pat Metheny… Molti lo avvicinano a partire da esperienze fusion, momenti di ibridazione col rock che in passato hanno prodotto pagine memorabili, dal Miles Davis elettrico degli anni ‘60-‘70 a gruppi inglesi come Nucleus o Soft machine. Può essere un buon inizio, ma esistono artisti molto fruibili, come Jan Garbarek o lo stesso Jarrett quando suona in trio o col quartetto europeo. Io lavoro nella sintesi con le nostre radici mediterranee, valorizzo molto la dimensione lirica e melodica, fin dagli anni ‘80”.


 

Il timore reverenziale che, in alcuni, si evidenzia verso il jazz sembra lo stesso che spesso si ha nei confronti di certi vini pregiati. Secondo te ci sono altre corrispondenze tra i due mondi?

Assolutamente sì, il vino è cultura e ricerca, come ha scritto Borges ‘ci fa dono di musica, di fuoco e di leoni’. Ma più che di timore parlerei di rispetto, lo stesso che ci vuole quando ascoltiamo il grande Ornette Coleman, o Charlie Mingus, geni assoluti che ben si sposano alla genialità  di certi grandi vini: quanto studio e ricerca c’è dietro un memorabile Barbaresco o tra le gocce di un pregiato Kora. Musica e vino coinvolgono molti sensi e connessioni visive, olfattive, tattili, gustative… Direi anche uditive, che suono affascinante un Enyo che zampilla allegro in un calice prezioso!


 

La domanda più scontata forse, ma inevitabile. Se dovessi abbinare un vino della Cincinnato ad un autore o uno stile jazzistico quale o quali sceglieresti?

Il vino è musica, può emozionare… Entrambi modificano la nostra psiche, del resto non salgo mai sul palco per un concerto senza prima aver centellinato un buon bicchiere. Il vino offre suoni e silenzi, come la musica ci porta fuori da noi stessi, verso l’estasi. Abbinerei il Kora, rosso intenso e strutturato al miglior jazz anni ‘50, da Mingus a Miles Davis, capaci di partiture equilibrate ed eleganti ma mai leziose: suoni fluidi e flessibili, forti e profondi, sempre cangianti. Associo invece Korì, lo straordinario brut metodo classico, a un jazz più lieve e allegro, leggero nel senso nobile attribuito a questo aggettivo da italo calvino. Mi vengono in mente musiche mediterranee, che sanno di vento e mare… Direi Anouar Brahem, magico solista tunisino di oud (il liuto arabo), o la poetica tromba del caro amico Enrico Rava, tra l’altro buon intenditore di vini!


 

 

Degustazioni e concerti, tornando alla normalità saranno ancora validi per come li interpretavamo prima?

Spero di sì, anzi meglio di prima. Questo tempo sospeso ci ha insegnato il valore dell’attesa, di quanto sia prezioso il silenzio e l’ascolto dell’altro: di chi ci è vicino ma anche dell’altro che è in noi. Nella solitudine, musica e vino magari gustati insieme schiudono nuovi orizzonti di profondità e creatività. Perciò con Giovanna Trisorio abbiamo immaginato percorsi comuni durante il festival ‘Una striscia di terra feconda’ che, dopo l’anteprima a fine luglio in splendidi siti Unesco (a Palestrina e Caprarola) e a Roma presso la Casa del Jazz, si concluderà i primi di settembre in collaborazione con la fondazione Musica per Roma. Pensiamo a un premio per il giovane compositore autore della partitura più inebriante, a un vino della cantina Cincinnato con l’etichetta del festival, a degustazioni e a molto altro! Il vino crea allegria, proprio come il buon jazz! Come insegna Borges nel suo ‘Sonetto al vino’:

In quale regno o secolo
e sotto quale tacita
congiunzione di astri,
in che giorno segreto
non segnato dal marmo,
nacque la fortunata
e singolare idea
di inventare l’allegria?

Con autunni dorati
fu inventata.
Ed il vino fluisce rosso
lungo mille generazioni
come il fiume del tempo
e nell’arduo cammino
ci fa dono di musica,
di fuoco e di leoni.

Nella notte del giubilo
e nell’infausto giorno
esalta l’allegria
o attenua la paura,
e questo ditirambo nuovo
che oggi gli canto

lo intonarono un giorno
l’arabo e il persiano.
Vino, insegnami come vedere
la mia storia
quasi fosse già fatta
cenere di memoria.


 

Davvero una magnifica chiacchierata quella con Paolo Damiani, che ringrazio ancora e al quale do appuntamento dunque alle serate del festival “Una striscia di terra feconda”. Appuntamento dal vivo, finalmente, anche per i nostri lettori, che ritroveremo comunque a fine luglio con un altro attore, per parlare di vino e cinema al maschile, il poliedrico Claudio Castrogiovanni.

 

 

 

Credits
Le foto di Paolo Damiani sono di Massimo De Dominicis
Le foto del Festival (edizione 2019) sono di Adriano Bellucci