Giornalista, appassionata di vino, di cibo ma anche di Opera lirica, Alma Torretta è qualcosa di più di una italiana che vive a Bruxelles, in Belgio, è una vera ambasciatrice del migliore made in Italy. Infatti collabora anche con l’Istituto Italiano di Cultura locale, tiene corsi e organizza eventi per far conoscere le nostre eccellenze. Partita dalla Sicilia, dopo la laurea in Scienze Politiche con indirizzo internazionale e la collaborazione con il quotidiano “Il Mediterraneo”, si trasferisce a Roma da dove scrive per il “Giornale di Sicilia” e completa il percorso di formazione nel vino con l’Ais, e infine spicca il volo per Bruxelles per coprire i lavori del Parlamento Europeo per il quotidiano siciliano.
Ma la vita, grazie ad una serie di coincidenze, la indirizza sempre di più verso la cultura, allontanandola dalla politica. Nasce quindi l’impegno diretto per seguire l’Opera da corrispondente della testata specializzata “Il Giornale della Musica” coprendo la programmazione dei tre teatri del Belgio, e recentemente pure della vicina Parigi, e nel vino, con l’ingresso in Onav presente a Bruxelles grazie alla sezione fondata da Roberto Scalacci. Nel frattempo erano partiti i corsi all’Istituto Italiano di Cultura, sulla musica e sul vino (diventati poi corsi ufficiali Onav), promuovendo la cultura enoica fino a mettere in piedi un corso specifico dal titolo “I Protagonisti” con un racconto regione per regione della produzione italiana, con il quale ha formato negli anni centinaia di appassionati del Belgio e non solo, come ci spiega nell’intervista che ci ha rilasciato.
Alma se ti chiedessimo di raccontarci che tipo di Paese è il Belgio come risponderesti? Come e quanto è presente il vino nell’area?
Sintetizzando potrei dire che il Belgio è un Paese piccolo ma complicato, parlando di vino aggiungo però che, nonostante tutto, è molto importante essere presenti visto che per certi versi, in particolare Bruxelles, rappresenta un po’ la vetrina d’Europa. Per spiegare meglio di cosa parliamo, dobbiamo cominciare dalla suddivisione del Belgio in tre aree diverse, al nord ci sono le Fiandre dove si parla Fiammingo, al sud la Vallonia che è invece francofona, poi c’è Bruxelles che è una metropoli cosmopolita, segnata fortemente dalla presenza delle istituzioni europee ma anche della Nato. Per darvi un’idea qui ogni Paese europeo è presente di solito con tre ambasciatori: uno presso il regno belga, uno presso l’UE e uno presso la Nato. Potete immaginare il fermento dell’attività diplomatica e il numero di eventi e presentazioni che si tengono ogni giorno.
Dal punto di vista strettamente enoico c’è da dire che la situazione è ugualmente complessa, sono pochi gli importatori nazionali mentre la maggior parte sono specializzati su una singola regione. Il consumo è importante a livello di numeri, nel quale domina ancora la produzione francese, per vicinanza e cultura (soprattutto in Vallonia, ma anche a Bruxelles), mentre nelle Fiandre tutto ciò che è francese non è visto di buon occhio per via di riflessi di una storia non recente ma ancora viva fatta di battaglie e guerre. L’area fiamminga è dunque più aperta e ben disposta verso l’Italia, che rimane un riferimento culturale importante attraverso l’arte e la musica. Qui i vini italiani hanno molto successo.
Con la pandemia sembrava che gli importatori cominciassero un’opera di unificazione del Paese dal punto di vista commerciale, invece finite le restrizioni si è tornati ai vecchi schemi e per un’azienda vitivinicola è complicato trovare spazio considerando che bisogna di solito dialogare con tre importatori se si vuole coprire bene il Paese. Oppure con uno di quelli molto grandi, che però sono di solito già pieni di marchi e quindi fanno entrare nuove referenze molto raramente. Per le cantine piccole e medie è forse più facile passare per la miriade di piccoli importatori, molti negozi e ristoranti fanno anche questo tipo di attività, per essere presenti sul mercato, soprattutto a Bruxelles, anche se con numeri molto piccoli ovviamente.
Il vino dunque pare stia crescendo, quali sono i trend più interessanti in un Paese famoso per il consumo di birra?
C’è di sicuro molta curiosità tra gli appassionati che vivono in Belgio, l’Italia ha la fortuna di avere tanti vitigni autoctoni ma bisogna riuscire a spiegarli e farli assaggiare. L’apertura alle novità non manca, a cominciare da Bruxelles, passando per le Fiandre e anche, sebbene minore, in Vallonia. C’è già una buona cultura di consumo del rosato e si consumano anche molto spumanti come il Cava, le bollicine più a buon mercato, e il Prosecco.
Esiste poi una buona produzione di metodo classico locale, che costa di più dei vini appena citati ma è ritenuta qualitativamente superiore. La Francia nel complesso la fa ancora da padrona, loro organizzano regolarmente degustazioni a tappeto delle denominazioni più importanti con la presentazione delle nuove annate. Noi, per fare un esempio classico, presentiamo i vini italiani sempre in ordine sparso, con una promozione che ha meno impatto di quella francese. Chi organizza questi eventi in Belgio di solito pecca per dimensioni e concretezza, qui difficilmente le persone si spostano per andare ad assaggiare pochi vini di una piccola area, servono eventi di grandi dimensioni e facilmente raggiungibili che coinvolgano più territori. Oltre al fatto che per una cantina organizzare una degustazione senza avere già un importatore è del tutto inutile. L’online dall’Italia funziona ancora poco, stanno funzionando i gruppi di acquisto ma ovviamente parliamo di numeri davvero minimi.
Cosa piace ai belgi dell’Italia e come, secondo te, potremmo usare queste preferenze per promuovere il vino in Belgio?
Se ben organizzato un evento sul vino funziona anche da solo, ma deve essere ricco di informazioni e momenti di approfondimento. Ma essendo un’area sempre ricca di manifestazioni riuscire a collegare il tema vino con una iniziativa culturale è ancora meglio, moltiplichi la forza di attrazione. Dalla presentazione di una mostra a quella di un libro c’è solo l’imbarazzo della scelta, più cauta sarei invece con la cucina perché se è vero che i piatti italiani sono tra i più amati nel Paese è anche importante pensare a non limitare l’abbinamento dei nostri vini, aprendo invece ai sapori di altri territori. Al momento i vini italiani più venduti sono quelli piemontesi e toscani, c’è un po’ di Puglia e rimane, come detto, l’apertura ad assaggiare ma non tramite banchi di degustazione veloci, meglio spiegare storia, dei vitigni e dell’azienda, peculiarità ecc.
I vini del Lazio hanno, secondo te, caratteristiche utili per entrare sul mercato? Come pensi sarebbe meglio procedere, ristoranti italiani o nuovi trend?
Servirebbe una promozione bella e fatta bene, la regione non è molto conosciuta e quei pochi che ne hanno assaggiato i vini in passato non sono rimasti soddisfatti, avendo avuto a che fare con prodotti di scarsa qualità che arrivavano dalle denominazioni storiche. Un tratto comune con altre regioni come la Sicilia. Quando però si riesce a far assaggiare prodotti di livello adeguato, dal Cesanese al Bellone per dire, lo spazio si trova e la curiosità non manca. Certo c’è un lavoro enorme da fare, assicurandosi anche di riuscire a coprire il mercato in modo capillare e quindi tutte e tre le aree di cui abbiamo parlato. Per quanto riguarda gli elementi trainanti delle scelte, inoltre, il Lazio (ma non solo) dovrebbe puntare a presentarsi correttamente anche dal punto di vista della sostenibilità, qui c’è grande attenzione al mondo “green” in generale, dai vini biologici ai naturali.
Esistono categorie di consumatori che scelgono esclusivamente in queste tipologie di prodotto, per questo è bene sempre dichiarare e certificare il proprio impegno sul tema. Anche il mercato belga della Gdo è molto importante, ci sono produzioni di qualità anche alta ma non gli operatori pronti a spiegare i vini, quindi è necessario riuscire a comunicare le cose importanti sulla bottiglia. Senza dimenticare che dopo una storia di emigrazione difficile, ora i belgo-italiani di seconda o terza generazione sono fieri delle loro origini. Non ci si vergogna più di essere figli o nipoti di italiani ma, anzi, prevale l’orgoglio e il recupero delle origini, che passa anche attraverso il recupero della cultura e dell’enogastronomia della regione di provenienza della famiglia.