Nel percorso che ha portato Cincinnato ad impegnarsi sempre di più nel contesto culturale, storico, tradizionale del vino, mettendo insieme le origini e i valori che questa attività millenaria incarna a Cori come nella vicina Roma, uno degli incontri più interessanti è stato quello con Emanuela Panke.
Una persona in grado di unire competenze elevatissime e semplicità di approccio, che ha dato un impulso importante alle attività culturali della nostra azienda, oltre ad aver consacrato con il riconoscimento “Iter Vitis Award” come Miglior Esempio di Turismo enogastronomico e culturale legato all’archeobotanica per il “nostro” vigneto di Bellone realizzato sul Colle Palatino, all’interno del Parco Archeologico del Colosseo. Emanuela Panke è partita da Roma con una Laurea in Comunicazione e per due anni, a Parigi, si è occupata di eventi nel mondo del lusso.
Al rientro in Italia il richiamo della passione per il vino e il turismo l’hanno portata ad un cambio di rotta, prima con la formazione sull’agroalimentare tramite un master all’Università di Siena e, poi, con gli impegni operativi nell’Associazione Nazionale di Città del Vino e, poi, come Segretario Generale Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa Iter Vitis “Les Chemins de La vigne” con progetti di cooperazione per lo sviluppo rurale tra i paesi UE e i paesi balcanici. Oggi ha accettato di rispondere ad alcune domande che le abbiamo posto nella veste, ormai, di Presidente di Iter Vitis – Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa.
Emanuela, puoi raccontarci come è nata l’idea di Iter Vitis?
Nel 2007 un piccolo gruppo di sognatori, da un paese siciliano di soli 5000 abitanti, Sambuca di Sicilia, decide di tentare la candidatura del primo Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa dedicato alla valorizzazione della vite come tema fondante dell’identità culturale del Continente. All’inizio ci fu grande diffidenza in sede di comitato di valutazione, per un tema che era considerato troppo commerciale rispetto ai classici contesti archeologici, storici e letterari di cui si occupava l’istituzione europea. La candidatura però era stata ben formulata e i temerari siciliani, insieme a colleghi calabresi e francesi, ottennero la certificazione nel 2009.
Quasi 15 anni fa era un tabù parlare del vino come elemento culturale, almeno nei classici paesi produttori Italia, Francia e Spagna, dove cominciammo la nostra avventura in aree poco conosciute e non nei vigneti più noti. Allo stesso tempo fummo accolti invece a braccia aperte in Paesi emergenti come i Balcani, il Caucaso e la sponda sud del Mediterraneo. Oggi la situazione è cambiata, con 24 Paesi membri e una vera Federazione alle spalle siamo felici di portare avanti il messaggio originale con un impatto maggiore, lavorando in programmi di promozione e valorizzazione e appoggiandoci su partner esterni per le attività che possono aiutare i territori associati ma che non sono di nostra pertinenza, come ad esempio la vendita di viaggi o la digitalizzazione delle aziende.
Perché ritieni che ora ci sia un rinnovato interesse per il ruolo culturale del vino?
Sicuramente perché è il sistema migliore di difendere questo prodotto emblematico della nostra storia, del nostro paesaggio, della nostra tradizione, e ovviamente della nostra economia, dagli attacchi di politiche neo-proibizioniste che lo additano come dannoso per la salute, alla stregua del fumo, con il poco velato intento di promuovere altre produzioni industriali. Inoltre, con un sensibile incremento delle richieste di turismo del vino, l’accostamento alla cultura è quello che assicura il mantenimento del carattere di originalità e autenticità anche nell’ambito delle esperienze di visita e scoperta dei territori.
Quale può essere il ruolo delle aziende in questo senso?
Il ruolo delle aziende è cruciale: le aziende, come dissi già un anno fa a Cincinnato complimentandomi per la lungimiranza nell’aver sostenuto l’operazione del vigneto Barberini, assumono il ruolo di veri e propri mecenati.
Un mecenatismo nemmeno troppo moderno, riacquisiscono il ruolo delle famiglie rinascimentali adottando iniziative puntuali che possano valorizzare il loro prodotto di punta come prodotto culturale. Impegnarsi nel salvare un antico vigneto, restaurare un muretto a secco, catalogare una collezione di vitigni antichi, sono piccole azioni con un forte impatto sull’immagine del prodotto e sulla futura preservazione del patrimonio paesaggistico, ampelografico e ovviamente archeologico.
Enoturismo significa cultura ma anche sostenibilità…
L’impegno nella valorizzazione del vino come prodotto culturale e le azioni ad esso collegate hanno certamente un aspetto legato alla sostenibilità, sia economica che ambientale. Promuovere un cammino culturale attraversando i vigneti a piedi per visitare anche siti storici, archeologici e artistici coniuga l’enoturismo con una fruizione sostenibile del territorio, come nel caso del neonato cammino “Lugana on foot” realizzato dal Consorzio del Lugana con Wine Meridian e da noi certificato, oppure – per rimanere sul territorio – come nel caso della passeggiata enoarcheologica di Roma promossa da Cincinnato a fine maggio, dando la possibilità di fruire di una visita sostenibile della Capitale e fuori da circuiti classici, o ancora le attività nei vigneti del Sud-ovest della Francia in cui si coniuga lo spettacolo del vigneto al Cammino di Santiago.
Un successo ormai diffuso anche nei Paesi storicamente produttori, ma ce ne sono anche di “emergenti” che stanno investendo nel vino come prodotto culturale?
Sicuramente citerei il Libano che, attraverso finanziamenti europei e ONG internazionali come USAID, ha saputo valorizzare i ritrovamenti in diversi scavi archeologici che hanno riportato alla luce palmenti (antichi vasi pressori) di epoca romana.
O anche la Moldavia, con il patrimonio rappresentato delle cantine Cricova e Milestimici con le loro gallerie sotterranee: senza dimenticare Israele, con un investimento importante sia nelle Judean Hills dove c’è il sito archeologico legato alla leggenda di Davide e Golia sia nella zona di Binyamina dove è in corso la costruzione di un museo interattivo. Sinceramente c’è l’imbarazzo della scelta, penso anche all’Herzegovina e all’importante operazione nei vigneti afferenti Mostar, dove diventa anche prioritario il ruolo del vino come facilitatore del dialogo interculturale.
Direi anzi che l’investimento nella valorizzazione del vino come elemento portante della cultura, in territori dove a volte sono presenti problemi politici o etnici, è teso anche a facilitare il dialogo interculturale. Posso assicurare che è rilevante il numero di casi in cui questo avviene con successo.
Partire dalla cultura per arrivare alla cooperazione e alla risoluzione dei problemi tra i popoli, quale obiettivo o ambito potrebbe essere più meritevole? Diciamo che fare vino, come ci ha spiegato egregiamente Emanuela Panke, può davvero rappresentare qualcosa di più che mettere del succo fermentato – per quanto buono e caratteristico – in una bottiglia.
Un compito non sempre facile ma da tenere bene a mente per chiunque voglia approcciarsi con la giusta attenzione a questo mondo. Noi ci proviamo e, anzi, vi invitiamo a rimanere in contatto sui nostri canali per scoprire quando si terrà il prossimo tour enoarcheologico di Roma. Dopo il successo della prima uscita non vediamo l’ora di rivederci e andare alla scoperta di un Roma poco conosciuta ma ricca di fascino.