Un viaggio appassionante nella cucina, nella storia e nelle tradizioni di Roma con Claudio Gargioli, chef del ristorante romano Armando al Pantheon.
Armando al Pantheon, forse anche in omaggio al vicino monumento, può essere considerato uno dei luoghi sacri della cucina romana. Imprescindibile passare da qui se si vuole capire quali sono i sapori della Capitale, per farceli raccontare siamo andati a intervistare Claudio Gargioli, custode e creatore di tutto il sapere culinario di questo pezzo di storia della gastronomia di Roma.
Attenzione però a ridurre tutto ad un uomo solo, Armando era uno e da lui è partito tutto, ma oggi il ristorante è animato dai suoi due figli, Claudio appunto e il fratello Fabrizio, una coppia d’oro. E dai loro cinque figli Fabiana, Flavio, Chiara, Claudia (new entry in cucina) e Giulia, insieme al sempre presente e factotum Mario, nonché Graziano anche lui in cucina; gli “armandini” come li chiama qualcuno. Una squadra oltre che una bellissima famiglia, capace di dare valore aggiunto ad una storia di successo capace anche di diversificarsi. Oltre al ristorante infatti, di cui parleremo con Claudio, da qualche anno è stato realizzato anche un progetto di accoglienza “Casa di Armando”, per chi vuole immergersi in tutto e per tutto nella Roma vera.
Claudio ma per te cos’è e cosa rappresenta davvero la cucina romana?
Guarda, la mia famiglia vive a Roma dal 1700, io sono cresciuto in via dei Balestrari, c’è insomma un attaccamento viscerale alla cucina ma anche alla città tutta. Ho cominciato a cucinare guardando mio padre, Armando faceva una cucina elementare che io all’epoca criticavo perché mi sembrava troppo semplice. Invece era avveniristica per la nettezza dei sapori che cercava e dava ai suoi piatti, ovvio che vicino a lui ho imparato molto. Ho deciso di lasciare l’università e affiancarmi a lui, ma ho cominciato presto a sentire la cucina cosiddetta tradizionale come limitata. In effetti i piatti più popolari e conosciuti sono soprattutto quelli del quinto quarto, una cucina in realtà relativamente moderna, che nasce tra 500 e 600, quando i macellai venivano pagati con gli scarti della bestia. Parliamo comunque di trasformazioni stupefacenti intendiamoci, si adattavano le parti meno pregiate per ottenere piatti molto gustosi. Ma la cucina romana di epoca imperiale era tutt’altra cosa, preparazioni raffinatissime riportate da Apicio come da Catone. Questa è stata la mia prima ispirazione, quando ho iniziato a fare davvero il cuoco ho fatto rinascere piatti come il Morettum (formaggio fresco, erbe e miele servito come antipasto – ndr), l’anatra alle prugne, la faraona ai funghi porcini e birra nera, in epoca romana era sostanzialmente orzo fermentato. Ricette decantate nell’antichità che abbiamo riadattato ai tempi moderni e che ancora sono nel menu di Armando al Pantheon. Si tratta di una variante molto interessante, direi stellare per la sua ricercatezza, della cucina romana antica rispetto alla cucina povera che è ormai quasi considerata come l’unica davvero romana. È stato un periodo di grande sperimentazione, mi divertivo a creare, ma poi sono andato anche oltre, facendo un salto di 600 anni per indagare cosa facevano i cuochi dei Papi. Ho esplorato gli scritti di personaggi come Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, e rivalutato l’importanza dell’agrodolce, già diffuso ai tempi dei romani vista la necessità a volte di mascherare profumi e sapori troppo intensi dovuti alla conservazione degli alimenti quando non esistevano i frigoriferi. Con una citazione posso dirti che la cucina romana è la semplicità più difficile da fare, bisogna stare attenti all’equilibrio dei sapori e usare sempre prodotti di alta qualità.
Un viaggio intrigante quello raccontato da Claudio, che ha fissato anche in una serie di libri le proprie ricette più famose, che non mancano di raccontare anche – ovviamente – la parte popolare della cucina romana. Ecco dunque ritrovare salt’in bocca alla romana, abbacchio alla scottadito e alla cacciatora, involtini, polpette, bollito alla picchiapò e poi i primi piatti tanto amati in ogni parte del mondo, la Carbonara “la più recente e quella che forse mi coinvolge meno” dice Claudio, oltre a Gricia, Cacio e pepe e Amatriciana che è “un piatto geniale, che unisce il primo con il secondo”.
Secondo te qual è il futuro della cucina?
A prescindere che questa epidemia, che ci ha tolto la gioia di guardare a quello che sarà, parlare di futuro è sempre difficile. Secondo me esisteranno ancora luoghi come Armando al Pantheon, che diventeranno dei tempi della cucina, affiancati ad altri generi più veloci diciamo. Anche noi ci espanderemo, la società moderna lo richiede, c’è meno tempo per sé stessi e quindi da dedicare al mangiare. Problematica simile a quella del teatro o del cinema, ci stiamo dirigendo tutti verso una fruizione rapida e diversa rispetto al passato. La nostra idea per il futuro è quella di riuscire a proporre le nostre specialità per pranzi veloci o addirittura per essere portate via, in questo cambiamento credo che saranno avvantaggiati i locali come il nostro che da sempre rappresentano anche la trattoria, mentre gli stellati faranno più fatica probabilmente. Da sempre infondo la tradizione va incontro alle esigenze sociali, direi popolari nel senso buono del termine. Ti fa rimanere attaccato al ricordo di quando eri bambino e vivevi meglio perché vedevi il mondo con gli occhi di un bambino. Sarebbe una grave perdita rinunciare alla tradizione per andare solo sull’innovazione, che è cosa buona intendiamoci ma senza abbandonare il resto. Se dovessi fare un paragone direi che la cucina stellata è simile all’Alta moda mentre la nostra più a un Pret a porter, non sempre hai voglia di indossare abiti così creativi mentre puoi scegliere un pret a porter d’autore tutti i giorni. La cucina della tradizione non ti stanca mai.
Che poi, intendiamoci, Armando al Pantheon vanta i 3 Gamberi della guida dei Ristoranti del Gambero Rosso, il massimo riconoscimento della selezione, raggiunto da meno di 30 locali in tutta Italia. Insomma non solo cucina tradizionale, ma qualità eccellente, anche nei confronti della selezione enologica (affidata a Fabiana, figlia di Claudio).
Che ruolo ha per voi il vino?
Ti vestiresti da Trussardi e andresti poi in giro con delle ciabatte?”. Claudio Gargioli ama la battuta e non se la fa sfuggire, per lui d’altronde “il vino è quel complemento alla cucina che è conditio sine qua non di un bel pasto”. E poi aggiunge “Sono favorevole al discorso territoriale, mi piace abbinare alla cucina tradizionale i vini della regione. Il vino è cultura, famiglia, calore… La prima cosa che ti può venire in mente pensando al vino è aggregazione, se unito alla cucina poi è un tutt’uno. Negli ultimi 20 anni, anche grazie ad una serie di enologi arrivati da altre regioni, è stato fatto veramente un gran lavoro nel Lazio, hanno saputo trasformare il frascatello allegro e burlone che si beveva a Castelli Romani in un vino serio e da considerare.
Un viaggio appassionante nella cucina, ma anche nella storia e nelle tradizioni di Roma, quello affrontato con Claudio Gargioli, che ringraziamo ancora. Sperando di poter tornare presto a godere della tranquillità di un tempo, ricordiamo comunque che i ristoranti sono luoghi sicuri, controllati e – quelli seri come Armando al Pantheon – capaci anche di farti dimenticare (almeno per la durata di un pasto) tutte le preoccupazioni della giornata. Purtroppo le nuove restrizioni, imposte per cercare di frenare il dilagare dell’epidemia da Covid-19, ci regalano la possibilità di godere dei ristoranti solo a pranzo. Bene, facciamo tesoro di questa limitata possibilità e approfittiamone al massimo!