Con Stefano Tesi per scoprire il senso del viaggio, quali mete scegliere e come viaggiare con la mente durante la quarantena
a cura di Fabio Ciarla
“Freelance per vocazione”, così si definisce Stefano Tesi, giornalista conosciuto da molti per la sua attività nel mondo del vino (www.alta-fedeltà.info è la sua web-zine, ma scrive anche per Winesurf, Civiltà del Bere, Guide Espresso, Corriere Vinicolo, James Magazine, oltre a partecipare al circuito “IGP – I Giovani Promettenti” e altre collaborazioni) ma con una carriera di reporter di viaggio forse ancora più importante. Scrive per Bell’Italia, Dove e Qui Touring, oltre ad aver collaborato con tantissime altre testate di grande importanza.
Mi piace riportare come lui stesso racconta i suoi inizi: “Ho cominciato con Indro Montanelli, al Giornale, dove ho imparato tutto o quasi. E dove, invece di farmi assumere come mi fu più volte offerto, per oltre vent’anni ho lavorato da esterno, per avere le mani più libere”. Insomma che il mondo l’ha visto davvero, 108 i Paesi visitati per ora, che forse più di altri sta soffrendo questo periodo di restrizioni. Ma rimanere a casa non è un problema se sai come attrezzarti, i modi per viaggiare ci sono e – leggerete – soprattutto c’è “viaggio” e “vacanza” ad esempio.
Cominciamo così, con un contributo che invita a spostarsi con la mente e con gli occhi, non potendolo fare di persona, il nostro percorso dedicato a “#iorestoacasa con” che vedrà protagonisti, dopo i viaggi, l’Arte con Armando Castagno e poi i libri con Cristiana Lauro, la Musica con Alessio Pietrobattista, la Cucina romana con Claudio Gargioli, poi forse il cinema… Ogni lunedì un nuovo contributo, sperando di regalarvi qualche momento di evasione, ma anche di crescita, in questo periodo di forzata sosta domestica.
Stefano, siamo costretti in casa ma la mente può viaggiare ancora, cosa consigli a chi vuole programmare il suo prossimo viaggio? Un posto, un continente o un’esperienza…
Domanda insidiosa, perché ancora non è dato sapere non solo quando si potrà ricominciare a viaggiare, ma soprattutto né dove, né come. Personalmente sono parecchio pessimista. Comunque, prima di programmare, meglio approfittare della stanzialità forzata e principiare a studiare, sondare, vagliare. Un posto vale l’altro, nel senso che il viaggio più interessante della vita lo si può fare anche nel tuo quartiere, se si impara a guardarlo con occhi diversi. Non è retorica, è verità.
Premesso questo, credo si debba porsi innanzitutto una domanda fondamentale: desidero fare un viaggio o una vacanza? Le cose non sono a prescindere incompatibili, ma parecchio diverse. La vacanza, per essere davvero tale, non dovrebbe avere imprevisti o averne il meno possibile, il viaggio sì (e anche se non dovesse, ne incontrerà comunque). Di norma, la vacanza comincia quando si arriva a destinazione, mentre nel viaggio le tappe di avvicinamento fanno parte del viaggio medesimo. Molto poi – sia nel viaggio che nella vacanza – va calibrato su sé stessi: età, spirito, salute, carattere, interessi incidono enormemente sulla riuscita finale e quindi sui benefici che si traggono dall’essersi mossi da casa. Se non si è in forma è sciocco avventurarsi in trekking tra i ghiacci artici, se si soffre il caldo meglio evitare le giungle indocinesi.
Ecco, fatte tutte queste premesse ne faccio un’ultima e fondamentale: partire e andare in posti lontani per fare le stesse cose che faccio a casa o vicino a casa è ridicolo, oltre che inutile. Assicuro che il sole abbronza tanto alle Maldive quanto all’Elba. Che di solito i fusilli al sugo della pensione riminese sono meglio di quelli che ti servono in un villaggio turistico dello Yucatan.
Detto ciò, il mio consiglio è di andare dove la curiosità ti spinge. Ovvero dove precedenti letture, fantasie, racconti ti spingono ad andare. Oggi la letteratura di viaggio offre migliaia di opportunità di farsi un’idea, la rete fa il resto (se non si abbocca troppo alla propaganda).
Ultimo avvertimento: non è affatto vero che oggi si può andare dappertutto. Coronavirus a parte, il modo è pieno assai più di vent’anni fa di luoghi pericolosi, infetti, instabili e ostili. Lasciamo a esploratori, missionari, giornalisti e spie fare il loro mestiere.
L’Italia e il vino sono elementi indissolubili, hai trovato lo stesso stretto rapporto in altri Paesi, con il vino o con altri prodotti tradizionali?
Bella domanda. Per il vino no, forse nemmeno in Francia, ma appunto quello tra Italia e vino è un rapporto talmente identitario da essere unico, perciò non replicabile. Una cosa che ho notato da parecchie parti è invece l’incapacità, ma in senso buono e quindi il legame profondissimo, quasi sciamanico, delle culture anche evolute di staccarsi dai prodotti che per secoli hanno rappresentato non solo la base dell’alimentazione, ma della sopravvivenza locale. Perfino in contesti in cui la società di oggi potrebbe tranquillamente farne a meno. Mi viene in mente, ad esempio il rapporto viscerale tra l’Irlanda e le patate. Indimenticabile ad esempio il momento in cui, in una contea dell’Eire profonda, un aristocratico locale mi mise in contatto coi distillatori clandestini di poitìn (o poteen), appunto il distillato la cui produzione domestica è vietata, ma largamente praticata. Il prodotto era fortissimo e spesso imbevibile, ma lo slancio con cui era fabbricato e consumato si poteva tranquillamente descrivere come “libidine”.
Altra esperienza significativa, ma in tutti i sensi estrema, è quella che ho avuto a Tawang, nello stato dell’Arunachal Pradesh, praticamente un cuneo indiano di cultura tibetana stretto tra la Cina e il Buthan. Lì, tra cime himalayane (Tawang è una grande città-villaggio a 3.500 metri slm e il nome significa “luogo a bassa quota”!), c’è il secondo più grande monastero buddista del mondo. E lì mi hanno fatto assaggiare la zuppa di miglio di cui i monaci si nutrono per smorzare la fame e potersi dedicare meglio all’ascesi ininterrotta. È un pastone marrone di gusto indefinibile, ma di sicura efficacia in quanto a inibizione dell’appetito. Ecco, tra il pastone e quel territorio c’è un legame indissolubile, profondamente culturale e direi perfino mistico.
Ultima domanda: riviste di viaggio, magari libri, oppure documentari. In quarantena a casa qual è il modo migliore per viaggiare?
Vedo che con le domande hai deciso di mettermi in difficoltà, ma io non mi tiro indietro. Se si parla di letture domestiche in periodo di quarantena, escluderei innanzitutto le riviste, che sono fatte e pensate per chi vuole viaggiare subito o quasi e pertanto hanno una scadenza ravvicinata, aggravata poi dallo stallo della quarantena stessa.
Documentari? Sì, se belli e in giro non ce ne sono molti. Il fatto è che siamo un popolo teledipendente e quindi penso che la maggior parte del tempo della vita domestica forzata la gente già lo passi davanti al video facendo zapping: in un simile contesto, i documentari rischiano di diventare noiosi.
I libri, i libri di viaggio anzi, sono il modo migliore per viaggiare. Ce ne sono di straordinari, capaci di unire racconto, conoscenza, stimoli, visioni diverse del mondo. Ne raccomando tre. Uno è “Il grande gioco”, classico di Peter Hopkirk che racconta la storia della secolare lotta tra inglesi e russi, a colpi di spie e diplomatici, per il controllo dell’Asia centrale. Un altro è “Il Viaggiatore di Agartha” di Abel Posse, romanzo straordinario che in equilibrio tra psiche e geografia porta dalla Germania Nazista ai misteri della mitica e introvabile città sotterranea. E infine “Tribù bianche perdute” di Riccardo Orizio, una straordinaria raccolta di reportage alla ricerca delle ultime comunità di bianchi occidentali rimaste da secoli inghiottite da giungle, isole e altre etnie. Bastano questi tre volumi a farsi venire voglia di viaggiare e idee di viaggio per tutta la vita.
Grazie Stefano, consigli preziosi e racconti significativi di un viaggio che – quando è tale – è sempre esperienza. Arrivederci in un mondo possibilmente privo della pandemia ma, si spera, più unito.